Imu: niente sconti comunali alle imprese

I comuni che hanno fissato gli sconti Imu per le imprese sono costretti ad eliminarli dalle proprie delibere dal momento che sono vietati per legge. È questo uno degli effetti – che iniziano a farsi sentire e per le imprese sono negativi – della nuova redistribuzione del gettito 2013 decisa dalla legge di Stabilità 2013 che affida ai comuni l’intero ricavato dell’Imu su case e negozi e allo Stato quello generato dall’aliquota base sugli “immobili di uso produttivo” (categoria catastale D).
La questione deriva dal fatto che l’Imu statale non permette sconti; la norma (articolo 1, comma 380 della legge 228/2012) consente ai sindaci di applicare una sovrattassa del 3 per mille, alzando l’aliquota al solito massimo del 10,6 per mille, ma non contempla la possibilità di abbassarla. Una scelta di questo genere porterebbe intaccare il gettito statale e questo non è possibile. 
Il dipartimento di Finanze, nuove regole alla mano, ha iniziato a scrivere ai comuni che avevano impiegato delibere con trattamenti agevolati per certe categorie di capannoni, dichiarando che la cosa non è fattibile e la delibera va corretta eliminando gli sconti. Ad esempio a Ferrara, sin dal 2009 il Comune ha apposto sconti all’Ici e poi all’Imu per chi intraprendeva “nuove attività industriali, artigianali o commerciali” o comprava capannoni da aziende in fallimento. 
“Alla luce dello ius superveniens – ha scritto al sindaco di Ferrara il dipartimento Finanze, facendo riferimento proprio alla legge di stabilità – l’aliquota agevolata non potrà trovare applicazione” per i fabbricati produttivi, “per i quali l’aliquota non può essere inferiore allo 0,76%”.  Nessuna possibilità “nemmeno prevedendo di rimborsare del gettito mancante lo Stato con fondi nostri, come eravamo disposti a fare”, evidenzia Luigi Marattin, che al Comune di Ferrara è assessore al Bilancio.
Il nodo non sta nell’interpretazione ministeriale ma negli emendamenti alla legge di stabilità che il Parlamento ha approvato in modo bipartisan, paradossalmente proprio sotto il credo “l’Imu ai Comuni”. La legge, infatti, ha distribuito ai sindaci tutto il gettito riguardante abitazioni e negozi ma, per risanare i conti statali ha stabilito di devolvere all’Erario l’intero gettito proveniente dai capannoni e, più in generale, degli “immobili a uso produttivo” accatastati in categoria D. 
In questa maniera, non si capisce quanto consapevolmente, si è fissata un’inversione a U rispetto alle regole 2012, che proprio agli immobili delle imprese permettevano di oltrepassare il limite minimo del 4,6 per mille, arrivando al 4 per mille, perché questo mattone non usufruisce dell’abolizione dell’Irpef sui redditi fondiari. 
Il nuovo meccanismo, che non consente sconti, praticamente costringerà i sindaci ad apporre l’incremento del 3 per mille, soprattutto nei Comuni in cui i capannoni rappresentano un segmento fondamentale della base imponibile proprio perché l’assegnazione di tutto il 7,6 per mille allo Stato rischia di ridurre troppo il gettito. 

La Gazzetta degli Enti locali

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