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Come l'anno scorso il fondo Tasi penalizza gli enti virtuosi

Fonte: Italia Oggi

Un’altra beffa per i comuni che non hanno alzato le tasse. O, meglio, l’ennesimo regalo a quelli che tartassano i propri cittadini con aliquote elevate fino al massimo consentito dalla legge. Farà discutere la decisione della Conferenza stato-città e autonomie locali, che giovedì ha dato parere favorevole all’ipotesi messa a punto dal governo per ripartire i 530 milioni del c.d. fondo Imu-Tasi (si veda ItaliaOggi del 17 luglio). Di cosa si tratta? Per capirlo, occorre addentrarsi nei meandri della finanza locale. Diversi comuni (fra cui molte grandi città), negli anni passati, hanno portato l’aliquota dell’Imu sopra il 9,6 per mille, spesso fino al 10,6 per mille che è il tetto oltre il quale non ci si può spingere. Con l’arrivo della Tasi, nel 2014, per evitare altri aumenti del prelievo, è stato introdotto un ulteriore limite: l’aliquota del nuovo tributo, sommata a quella della vecchia imposta municipale, non può superare il tetto appena citato, ossia il 10,6 per mille. In tal modo, però, nei bilanci dei comuni che avevano già esaurito i loro margini di manovra, si è aperto un buco, poiché il Mef, nei conteggi per la distribuzione del fondo di solidarietà, stima comunque un’entrata da Tasi ad aliquota base (1 per mille). Si tratta di un’entrata puramente virtuale, che non serve a pagare stipendi e servizi.. Per rimediare, lo scorso anno la Stato ha previsto un fondo apposito, con uno stanziamento pari a 625 milioni, che sono finiti nella casse di circa 1800 comuni che si trovavano nella situazione descritta. Il riparto di tali somme è stato definito sulla base di una metodologia tecnicamente complessa, ma i maggiori problemi si sono rivelati quelli di natura politica: molti sindaci di comuni fiscalmente virtuosi, infatti, non hanno digerito la decisione di destinare il tesoretto ai loro colleghi che, incapaci di ridurre le spese, hanno spinto sul prelievo. Allora volarono parole grosse, con diversi primi cittadini che descrissero la vicenda come uno «scandalo» da non ripetersi a nessun costo. Invece, lo scandalo si è ripetuto giovedì scorso. Questa volta, la torta da ripartire era più piccola, 530 milioni, perché nel frattempo la coperta si è ulteriormente accorciata, al punto che ci sono voluti mesi di trattativa fra Anci e governo per arrivare ad una soluzione, poi recepita dal dl 78/2015. Una parte di queste risorse, inoltre, è destinata ai comuni che hanno subito tagli ingiustificati a causa delle sovrastime del gettito dell’Imu terreni. Al netto di tale voce, rimanevano da distribuire 472,5 milioni, non proprio noccioline comunque. Ebbene, a chi sono finiti? Agli stessi 1800 comuni già risultati beneficiari lo scorso anno, dato che (come si legge nella nota metodologica del Mef) da allora «non si sono modificate le condizioni di riferimento». In pratica, quindi, ciascuno di questi 1800 comuni riceverà una percentuale (il 75,6%) dell’assegnazione 2014. Per ora, l’unico commento è quello dell’Anci, che ha espresso soddisfazione per il provvedimento, anche se ha chiesto di rendere il contributo rilevante ai fini Patto. Sarà interessante vedere come la prenderanno gli altri 6300 comuni che, per non avere aumentato i tributi, sono di nuovo rimasti a secco.


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