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Imposta sulla prima casa, ecco come risolvere il rebus delle coperture stimolando l'economia

Fonte: Il Sole 24 Ore

L’annuncio del premier Renzi dello scorso 18 Luglio relativo all’abolizione dell’imposta immobiliare sulla prima abitazione a partire dal 2016 sembra avere spostato il dibattito politico sulla rivendicazione della paternità della proposta di abolizione, con alcune parti politiche e commentatori a discutere il delicato equilibrismo delle possibili coperture. Ma le ragioni per rivedere l’imposizione sull’abitazione principale non dovrebbero essere legate né a ideologie né tanto meno ad indici di popolarità. Al contrario, una proposta di riforma dovrebbe essere sostenuta in maniera bi-partisan sulla base di argomentazioni puramente economiche.

In un recente lavoro di ricerca con Riccardo Trezzi (Board of Governors della Federal Reserve), discusso in maggiori dettagli in un post apparso lo scorso 19 giugno sul blog Econopoly, analizziamo l’effetto dell’introduzione dell’Imu da parte del governo Monti alla fine del 2011 sul consumo di beni durevoli e non-durevoli da parte delle famiglie italiane. I nostri risultati principali sono che:

(a) – L’imposta sulla prima abitazione ha prodotto una riduzione dei consumi di beni durevoli molto significativa (in media 43 centesimi per ogni euro in più di tassa pagata) concentrata soprattutto tra le famiglie con un mutuo e bassa liquidità rispetto al reddito familiare;
(b) – L’imposta sulle altre abitazioni ha generato entrate per lo Stato di tre volte superiori alle entrate relative all’imposta sull’abitazione principale ma non ha prodotto alcuna riduzione dei consumi (perché è stata finanziata da una riduzione dei risparmi privati).

Dalla nostra analisi emerge, dunque, che le famiglie con un mutuo sulla loro unica proprietà tendono ad avere una propensione marginale al consumo alta (cioè: tendono a ridurre o aumentare molto i loro consumi in caso di aumento o riduzione della tassazione) mentre le famiglie senza mutuo e che possiedono più di una abitazione tendono ad avere una propensione marginale al consumo bassa.

Questi risultati hanno due implicazioni di politica economica che utilizziamo per definire la nostra proposta di riforma: (1) permettere la deducibilità del valore residuo del mutuo sull’abitazione principale dalla base immobiliare imponibile per tutte le famiglie che posseggono una sola abitazione e (2) coprire integralmente la diminuzione delle entrate dovute alla deducibilità di cui al punto (a) con un aumento del gettito relativo all’imposizione sulle altre abitazioni.

In altre parole, la nostra ricerca suggerisce che esiste un’alternativa all’abolizione integrale dell’imposta sull’abitazione principale poiché lo stesso risultato di stimolo per i consumi può essere raggiunto con una strategia mirata e meno costosa. In particolare, sulla base della nostra analisi, riteniamo che sia preferibile da un lato agire sulle deduzioni/detrazioni per i contribuenti più sensibili all’azione del governo – ovvero le famiglie con mutuo, che aumenterebbero maggiormente il consumo a fronte di una riduzione del carico fiscale – e dall’altro lato espandere i prelievi per coloro che hanno mostrato una maggiore capacità contributiva – ovvero le famiglie con più abitazioni e senza mutuo, che probabilmente non diminuirebbero il consumo a fronte di un incremento del carico fiscale.

Questa proposta «a costo zero» (ovvero a saldi invariati per il governo) sposterebbe l’imposizione immobiliare da soggetti con un’alta propensione marginale al consumo verso soggetti con una bassa propensione marginale al consumo e come tale avrebbe buone probabilità di stimolare l’economia senza aumentare il deficit fiscale.


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