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Attuazione della riforma fiscale: il nuovo contenzioso tributario (parte 8)
Le modifiche al processo tributario recate dal Dlgs 156/2015 intervengono anche sul regime delle impugnazioni, prevedendo espressamente la possibilità di proporre in Cassazione il ricorso per saltum, riducendo da un anno a sei mesi il temine per la riassunzione del processo a seguito di cassazione con rinvio e riformulando talune disposizioni in materia di revocazione

Con comunicato del 03/11/2015 la rivista telematica dell’Agenzia delle Entrate rende noto che:

Le modifiche al processo tributario recate dal Dlgs 156/2015 intervengono anche sul regime delle impugnazioni, di cui al Capo III del Dlgs 546/1992, prevedendo espressamente la possibilità di proporre in Cassazione il ricorso per saltum, riducendo da un anno a sei mesi il temine per la riassunzione del processo a seguito di cassazione con rinvio e riformulando talune disposizioni in materia di revocazione.

 Ricorso per saltum

All’articolo 62 del Dlgs 546/1992, concernente le norme applicabili al ricorso per cassazione, è stato aggiunto il comma 2-bis, il quale prevede che “Sull’accordo delle parti la sentenza della commissione tributaria provinciale può essere impugnata con ricorso per cassazione a norma dell’art. 360, primo comma, n. 3, del codice di procedura civile”.

Si tratta del ricorso per saltum (da altri definito omisso medio), disciplinato nel codice di procedura civile dal secondo comma dell’articolo 360, che può trovare applicazione quando le parti si trovino d’accordo nel ritenere che la causa dipende dalla decisione di una questione di diritto, scegliendo di anticipare la pronuncia della Corte suprema.

 Come evidenziato dalla relazione illustrativa di accompagnamento al decreto, l’istituto “si ritiene possa avere un’utile funzione deflattiva del contenzioso consentendo, in tempi brevi, una pronuncia della Corte di cassazione su questioni giuridiche non appena sorte in primo grado”.

Tali finalità sono state riconosciute dalla giurisprudenza di legittimità in sede di interpretazione dell’articolo 360, secondo comma, cpc; in particolare, la Cassazione ha evidenziato che “il ricorso per saltum risponde all’opportunità, da apprezzarsi dalle parti concordemente, di evitare l’appello quando la contesa sia limitata alla risoluzione di questioni di diritto, così che esso costituirebbe un “doppione” del ricorso per Cassazione” (Cassazione, n. 2021/1997).

 In questo senso, relativamente alla tipologia di motivi censurabili con il ricorso per saltum, l’articolo 62 del Dlgs 546/1992 richiama espressamente l’articolo 360, primo comma, n. 3, cpc, consentendone l’esperimento unicamente per violazione o falsa applicazione di norme di diritto.

Come noto, la “violazione o falsa applicazione di norme di diritto” costituisce il motivo per eccellenza del ricorso per cassazione, in quanto consente alla Corte di svolgere la funzione di nomofilachia prevista dall’articolo 65 dell’ordinamento giudiziario, vale a dire assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge.

L’errore di diritto può consistere nella errata individuazione della norma che deve essere applicata oppure nella errata sussunzione della fattispecie nell’ambito di una norma correttamente individuata e interpretata.

 Cassazione con rinvio: termine per la riassunzione

Il Dlgs 156/2015 ha apportato modifiche anche all’articolo 63 del Dlgs 546/1992, disciplinante il giudizio di rinvio dinanzi alla Commissione tributaria alla quale la Corte di cassazione abbia rimesso la causa.

Il termine per la riassunzione del giudizio dopo la cassazione con rinvio della sentenza è stato ridotto da un anno a sei mesi.

Il nuovo testo del comma 1 dell’articolo 63, in vigore dal 1° gennaio 2016, dispone che “Quando la Corte di cassazione rinvia la causa alla commissione tributaria provinciale o regionale la riassunzione deve essere fatta nei confronti di tutte le parti personalmente entro il termine perentorio di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza nelle forme rispettivamente previste per i giudizi di primo e di secondo grado in quanto applicabili”.

La relazione illustrativa chiarisce, in merito, che “La riduzione è apparsa opportuna tenuto conto da un lato di quella già operata per tutte le cause civili dal c.p.c. (il cui art. 393 prevede un termine per la riassunzione di soli tre mesi), dall’altro che il termine di sei mesi coincide con quello già previsto dall’art. 43 del decreto per la riassunzione del giudizio interrotto o sospeso. Non si è ritenuta opportuna la riduzione a tre mesi, termine eccessivamente breve, tenuto conto dei notevoli pregiudizi (la definitività dell’atto impugnato) che il contribuente può subire per effetto della mancata riassunzione della causa dopo la sentenza di annullamento con rinvio”.

 Revocazione

Infine, il Dlgs 156/2015 ha apportato modifiche all’articolo 64 del Dlgs 546/1992, recante la disciplina delle sentenze revocabili e dei motivi di revocazione.

Con la domanda di revocazione, il soccombente denuncia, allo stesso giudice che ha emesso la sentenza, gli errori in cui è incorso nel giudicare in fatto, purché tali errori rientrino nell’elencazione tassativa prevista dall’articolo 395 cpc. In questo senso la revocazione è un mezzo di impugnazione delle sentenze a critica vincolata.

Il giudizio di revocazione comprende una prima fase rescindente, volta all’eliminazione della sentenza impugnata, e una successiva fase rescissoria, finalizzata all’emanazione di una nuova pronuncia. Di conseguenza, la decisione del giudice della revocazione si sostituisce alla sentenza revocata.

 Il decreto è intervenuto sostituendo il comma 1 dell’articolo 64 con il seguente: “Le sentenze pronunciate in grado d’appello o in unico grado dalle commissioni tributarie possono essere impugnate ai sensi dell’art. 395 del codice di procedura civile”.

La finalità della riformulazione, chiarita dalla relazione illustrativa di accompagnamento al decreto, è quella di “eliminare le incertezze interpretative a cui aveva dato luogo il testo vigente”.

L’articolo 64, comma 1, del Dlgs 546/1992, come già l’articolo 41 del Dpr 636/1972, prevedeva infatti che “Contro le sentenze delle commissioni tributarie che involgono accertamenti di fatto e che sul punto non sono ulteriormente impugnabili o non sono state impugnate è ammessa la revocazione ai sensi dell’art. 395 del c.p.c.”.

Particolari criticità si erano riscontrate sia in ordine all’interpretazione della locuzione “sentenze … che involgono accertamenti di fatto” sia in relazione al rapporto tra ricorso per revocazione e ricorso per cassazione.

 Secondo la dottrina prevalente, si trattava di una precisazione pleonastica, dal momento che la revocazione tributaria non si differenziava dall’analogo rimedio previsto dal codice di procedura civile e il coinvolgimento di un accertamento di fatto ne costituisce il presupposto ontologico necessario.

A riprova che lo scopo della riformulazione è la semplificazione e la maggiore chiarezza del dettato normativo , il Dossier del Servizio studi della Camera dei deputati n. 189/1 del 14 settembre 2015, di accompagnamento al decreto, evidenzia che: “Le sentenze pronunciate in grado d’appello o in unico grado dalle commissioni tributarie possono essere impugnate per revocazione secondo le norme del c.p.c., eliminando il riferimento agli accertamenti di fatto ed alla ulteriore impugnabilità”.

Il legislatore delegato ha scelto così di riprodurre la formulazione dell’articolo 395 cpc.

 Le parti processuali potranno presentare avverso le sentenze delle Commissioni tributarie pronunciate in grado d’appello o in unico grado ricorso per revocazione ordinaria, la cui proposizione impedisce il passaggio in giudicato della sentenza, ovvero straordinaria, che può proporsi anche dopo il passaggio in giudicato della stessa.

Rimane fermo che le sentenze pronunciate dalla Commissione tributaria provinciale sono soggette solo a revocazione straordinaria, come stabilito dal secondo comma dell’articolo 64, in quanto i motivi di revocazione ordinaria devono essere fatti valere con l’appello.

Si ricorda che motivi di revocazione ordinaria sono quelli enucleati ai nn. 4 e 5 dell’articolo 395 cpc, ovvero l’erronea supposizione di un fatto e la contrarietà a un precedente giudicato; motivi di revocazione straordinaria sono quelli di cui ai nn. 1, 2, 3 e 6, rispettivamente: 1) il dolo della parte, 2) le prove false, 3) il ritrovamento, dopo la sentenza, di uno o più documenti decisivi, 6) il dolo del giudice.

 Quanto infine al rapporto tra ricorso per revocazione e ricorso per cassazione, come da orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità (cfr Cassazione 7261/2013 e 14267/2007), la notificazione del ricorso per revocazione è idonea a determinare, sia per il notificante che per il destinatario della notificazione, la decorrenza del termine breve per l’eventuale impugnativa della pronuncia innanzi alla Corte suprema.


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