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Il Fisco reale ancora distante da quello percepito

Fonte: Il Sole 24 Ore

i incassi del fisco nel 2015 tornano a crescere dopo un biennio di arretramento. Le entrate tributarie, come è naturale che sia, riflettono almeno in parte l’andamento del ciclo economico. Come sappiamo, lo scorso anno la dinamica del Pil è tornata in area positiva (seppur per un modesto +0,8%), dopo tre anni consecutivi di flessione. Sempre nel 2015, la disoccupazione è rimasta certo a livelli molto elevati ma un po’ più contenuti rispetto al 2014, grazie anche all’effetto positivo del bonus contributivo concesso ai datori di lavoro per le nuove assunzioni.

Infine, sempre tra gennaio e dicembre 2015, la domanda interna, sia sul fronte degli investimenti sia su quello dei consumi delle famiglie, spinti probabilmente anche dall’operazione “80 euro” che lo scorso anno ha riguardato circa dieci milioni di lavoratori dipendenti pubblici e privati, ha cominciato a dare qualche primo segnale di risveglio.

Sono tutti elementi che possono spiegare i motivi della crescita del gettito di tasse e imposte nel 2015. Una crescita pari a 4 punti percentuali rispetto al 2014, che equivale a poco meno di 17 miliardi di euro in valore assoluto, frutto quindi di un clima complessivo più favorevole, almeno nella prima parte dell’anno (oltre che di alcune nuove regole di contabilizzazione delle entrate che, a esempio, fanno crescere di 7 miliardi il gettito Irpef).

Per semplificare, potremmo dire che se l’economia gira, se migliorano le opportunità per le imprese e per i lavoratori, anche il fisco gira, con grande beneficio per i conti pubblici e per il rispetto dei parametri europei.

Certo, fa effetto pensare che nello stesso periodo in cui il fisco ha chiesto (e ottenuto) dai contribuenti 17 miliardi in più, la pressione fiscale, come confermano gli ultimi dati ufficiali dell’Istat, sia diminuita al 43,3% rispetto al 43,6 del 2014. Naturalmente, in tutto questo non c’è alcuna “magia”: la pressione fiscale (che peraltro include, oltre alle entrate di competenza dell’Erario, anche tutti gli altri incassi dello Stato, dai contributi sociali alle imposte locali) è il risultato di un rapporto: il Pil al denominatore, e le entrate totali al numeratore. Se il denominatore – come è accaduto l’anno scorso – cresce più del numeratore, la pressione fiscale si riduce.

Non si riduce, però, la sensazione di un fisco che non allenta la presa e che continua ad avanzare pesanti richieste nei confronti dei contribuenti, persone fisiche o imprese che siano. Così, le riduzioni di prelievo che qua e là si sono viste finiscono per essere oscurate dall’idea che si continuano a pagare troppe tasse.

Per molti sono arrivati gli “80 euro” (che come sappiamo non sono tecnicamente un taglio di tasse). Sull’Irap, per le imprese, il 2015 ha portato l’azzeramento dell’imposta regionale sulla componente lavoro, del quale si vedono i primi effetti. Sono state fatte 750mila assunzioni con lo sgravio contributivo.

Così la pressione fiscale scende, ma non nella percezione dei cittadini. Perché il “peso individuale” del fisco resta per tutti (ovviamente, per tutti quelli che pagano) a livelli troppo elevati, soprattutto quando si mettono in relazione la quantità del prelievo e la qualità (e quantità) dei servizi ricevuti.


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