MAGGIOLI EDITORE - Ufficio Tributi


Cartelle, le insidie delle liti in corso

Fonte: Il Sole 24 Ore

La rottamazione dei ruoli in contenzioso rappresenta una delle questioni più critiche della disciplina introdotta dal decreto legge 193/2016. Questo perché, a fronte di problematiche complesse e variegate, la norma si limita a pochissime indicazioni. È infatti solo previsto che con la presentazione della domanda, il contribuente assume l’impegno a rinunciare ai giudizi che hanno per oggetto i carichi definiti.

La prima questione riguarda l’individuazione del momento dal quale l’impegno a rinunciare al giudizio diventa irreversibile. Sebbene tale impegno si assuma con la presentazione della domanda, ci sono molteplici ragioni per ritenere che il debitore debba poterci ripensare. In primo luogo, potrebbero esserci dubbi sulla determinazione degli importi da versare. Si pensi a una pretesa parzialmente annullata dal giudice, per la quale non è chiaro se e quanto è stato recepito nell’originaria iscrizione a ruolo. Per superare l’impasse si potrebbe differire il momento di perfezionamento alla scadenza di pagamento della prima rata. A quella data infatti il debitore conosce la somma da versare perché ha ricevuto la comunicazione di Equitalia.

Un altro problema investe i ruoli che derivano da avvisi di accertamento impugnati. Quando si rottama la parte che corrisponde all’iscrizione a ruolo provvisoria, cosa accade alla porzione del debito non definita? Questa situazione si può verificare quando la sentenza della commissione tributaria provinciale respinge totalmente o parzialmente il ricorso del contribuente, che quindi propone appello alla commissione tributaria regionale. Nelle more del contenzioso, l’ufficio iscrive a ruolo i due terzi dell’importo. Se si rottama questo importo, cosa accade alla parte residua? Il giudizio prosegue o bisogna comunque rinunciare alla lite? La risposta che appare più equilibrata è quella della prosecuzione della lite “pro quota”, ma la legge non è chiara.

Inoltre, il decreto non specifica cosa accade se l’appellante è l’ufficio. Si tratta del caso in cui il contribuente ha vinto in primo grado il ricorso contro la cartella e l’ufficio ha proposto appello. Se l’ufficio non ha sgravato la cartella, ma si è limitato a sospenderla, tecnicamente c’è spazio per la rottamazione, per eliminare l’alea processuale. In questa ipotesi è l’ufficio che deve rinunciare all’appello ma la legge tace. Si ritiene in ogni caso che la rinuncia sia dovuta, poiché l’importo in contenzioso è stato per l’appunto “definito”.

Quest’ultimo esempio, inoltre, offre lo spunto per evidenziare un’incongruità (tra le tante) della disciplina sulla rottamazione. Sempre nell’ipotesi in cui la sentenza di primo grado abbia dato ragione al contribuente, se l’ufficio avesse provveduto (doverosamente, peraltro) a sgravare del tutto la cartella mentre il giudizio di appello è in corso, pare preclusa la strada della rottamazione poiché non vi sono carichi affidati a Equitalia. A questo riguardo, bisognerebbe stabilire a quale data fare riferimento per verificare l’esistenza dello sgravio: a quella indicata dal decreto per l’affidamento delle cartelle a Equitalia (31 dicembre 2015, nel testo attuale, o 2016, secondo l’emendamento approvato la settimana scorsa) o a quella di presentazione della domanda?

Va inoltre ricordato che se il contribuente, nelle more del giudizio, ha pagato tutto o parte dell’importo richiesto, le somme versate a titolo di sanzioni e interessi di mora e dilazione non possono essere restituite. Così, se si è impugnata una cartella di pagamento e si è versato l’intero importo iscritto a ruolo, la rottamazione non presenta alcuna convenienza. Questo a maggior ragione se la commissione tributaria provinciale avesse accolto il ricorso del contribuente: in questo caso la rottamazione precluderebbe la restituzione degli importi pagati.

Un’altra incongruenza è rappresentata dalla richiesta di rinuncia ai giudizi in corso. In realtà, più correttamente, si sarebbe dovuto disporre la cessazione della materia del contendere per effetto della definizione agevolata. In questo modo, si sarebbe determinata per legge la compensazione delle spese del giudizio, in base all’articolo 46 del decreto legislativo 546/1992. Al contrario, se il contribuente rinuncia ad esempio all’appello, in linea di principio, sono dovute le spese alla controparte, salvo diversa espressa volontà di quest’ultima.


https://www.ufficiotributi.it