Anche gli immobili d’impresa sono colpiti dall’Imu. Questo perché il tributo comunale ha per oggetto i beni immobili a qualsiasi uso destinati. L’impatto dell’imposta su tali tipologie di immobili è tuttavia più pesante rispetto alle altre categorie; l’Imu sostituisce infatti solo l’Irpef sui redditi fondiari degli immobili non locati. Ne deriva che i beni relativi all’impresa, in quanto produttivi di reddito d’impresa e non di reddito fondiario, non beneficiano di alcun effetto sostitutivo. In buona sostanza ciò comporta che, per questi immobili, a una più elevata (rispetto all’Ici) aliquota di imposta patrimoniale si accompagna l’applicazione delle ordinarie imposte sui redditi. L’effetto opera per tutti gli immobili d’impresa, a prescindere dalle loro destinazioni. Si tratta quindi degli immobili strumentali, per natura o per destinazione, dei beni merce, destinati alla vendita, e degli immobili patrimonio.
Senza sconti
Per questa ragione, la disciplina originaria dell’Imu sperimentale, contenuta nell’articolo 13 del Dl 201/2011, prevede che per i beni d’impresa i Comuni possano deliberare aliquote ridotte sino allo 0,4%, al di sotto dunque del limite di legge dello 0,46% e a fronte di una aliquota ordinaria dello 0,76%. Nei riguardi dei beni merce delle imprese costruttrici, ultimati da non oltre tre anni, è inoltre consentito scendere sino allo 0,38%. Senonché, una pluralità di ragioni hanno reso in concreto difficilmente praticabile l’agevolazione sia nel 2012 sia quest’anno.
Per l’anno 2012, in particolare, l’ostacolo maggiore è stato rappresentato dall’introduzione della quota di imposta erariale sulla generalità degli immobili, con la sola esclusione dell’abitazione principale. Si ricorda, infatti, che per l’anno scorso era dovuta allo Stato una quota corrispondente allo 0,38% dell’imponibile riferito ai beni soggetti a Imu. Questa aliquota inoltre non poteva in alcun modo essere influenzata dalle misure adottate a livello locale. Ne deriva che se il Comune decideva di ridurre allo 0,4% l’aliquota sui beni d’impresa, restava comunque dovuta all’Erario un’imposta corrispondente allo 0,38%, con l’effetto che l’ente locale avrebbe perso la quasi totalità del gettito del tributo.
La nuova riserva statale
Per il 2013, i problemi derivano dalle novità portate dalla legge di stabilità 2013 (legge 228/2012). Da un lato, si è provveduto ad abolire la vecchia quota d’imposta erariale, attribuendo così il gettito dell’imposta ai Comuni; dall’altro, però, si è disposta l’istituzione di una nuova quota d’imposta erariale sui soli fabbricati di categoria catastale D. Si tratta tra l’altro dei capannoni, degli stabilimenti e degli alberghi, cioè di immobili tipicamente a destinazione commerciale o industriale. La riserva allo Stato, in particolare, è pari allo 0,76% dell’imponibile Imu relativo a questi beni. È inoltre previsto che, al fine di evitare eccessive cadute di gettito a livello locale, i Comuni possano elevare l’aliquota sino all’1,06%, acquisendo per intero tutto l’extragettito rispetto alla misura ordinaria dello 0,76%. La quota d’imposta erariale sugli immobili D è peraltro versata direttamente allo Stato, tramite un apposito codice tributo approvato per l’utilizzo nel modello F24. In caso di accertamento, tutta la maggiore entrata spetta al comune.
Le ricadute
La regola provoca un doppio effetto negativo per questi beni d’impresa. Da un lato, impedisce ai Comuni di adottare aliquote ridotte, poiché la quota statale dello 0,76% non può essere in alcun modo abbassata dalle amministrazioni locali. Nel contempo, soprattutto nei Comuni con elevata densità di insediamenti industriali o alberghieri, diventa probabile l’approvazione di aliquote più elevate di quella ordinaria, al fine di conservare una parte di gettito. Per attenuare il problema, la riforma promessa entro il 31 agosto dovrebbe introdurre forme di deducibilità dell’Imu dalle imposte dirette sul reddito d’impresa, ma la previsione deve essere ancora definita. Le regole di determinazione della base imponibile sono, in linea di principio quelle ordinarie. Questo significa che la base di partenza resta la rendita catastale, rivalutata del 5%. A questa, si applicano i moltiplicatori previsti dalla legge per ciascuna categoria catastale. Un criterio specifico è dettato per i fabbricati di categoria D, non censiti, interamente posseduti da imprese e distintamente contabilizzati. Per questi immobili, l’imponibile è pari al valore contabile, assunto al lordo delle quote di ammortamento, rivalutato annualmente sulla base di appositi indici ministeriali. Le spese incrementative sostenute in ciascun anno incidono sull’imposta da versare nell’anno successivo a quello di sostenimento. Questo criterio opera sino all’anno dell’attribuzione della rendita catastale.
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