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L'Imu è vista come una mammella
La nuova imposta ci farà rimpiangere l'antica Ici

È scattata la corsa all’Imu. Nei comuni, soprattutto negli assessorati al bilancio e, più in generale, nelle giunte, si guarda alla nuova vacca grassa cui mungere. La scelta verso cui s’incamminano gli enti localiè semplice: alzare le aliquote il più possibile. Del resto, che gli amministratori locali siano contenti quando possono registrare elevate cifre all’entrata mercé le tasse, si era splendidamente visto con le compiaciute dichiarazioni dell’allora vicesindaco di Roma, Mauro Cutrufo, quando poté arraffare cifre milionarie mercé l’introduzione della tassa di soggiorno, aggravata, per l’occasione, con un incremento dei biglietti d’ingresso a musei e altri centri di Roma Capitale (beninteso, a danno dei non residenti in Roma, che quindi nella città non votano). Oggi, mentre gli amministratori comunali, di qualsiasi orientamento politico, guardano con voracità a incrementi della Tarsu o della Tia, titillati da smaniose bramosie di colpire i disgraziati che hanno davanti a casa un passo carraio, è l’Imu ad attirare l’attenzione. Altro che la defunta Ici! A Bologna il sindaco pensa a mettere le mani nei portafogli dei proprietari di casa, strizzandoli con l’Imu (perfino sulle abitazioni in comodato) per “riparare le buche” di recenti nevicate. A Parma il commissario prefettizio si mette sulla via che seguono o seguiranno gli amministratori politici: aliquota all’apice, già deliberata. Un po’ ovunque, infatti, si assiste al desiderio, meglio, alla bramosia, di far lievitare le aliquote dell’Ici verso i livelli massimi, mentre molti amministratori si leccano già le labbra pensando a quando potranno disporre delle nuove rendite catastali. Sanno benissimo che l’invarianza di gettito è un’utopia e attendono soltanto che possano scattare adeguamenti e riclassamenti, che si augurano segnino fortissimi incrementi. Che poi si tratti di passare a un catasto patrimoniale dal catasto reddituale, violando quanto sancito dalla Corte costituzionale, a loro nulla interessa: conta il lucro.A che serve questa insaziata fame di gettito impositivo? Per i servizi, si dice e si ripete. Per le spese non necessarie, non indispensabili, non utili, sarebbe invece il caso di affermare. Diamo un pallido, ma indicativo esempio. Nel cuore di Roma, a poche decine di metri dalla Camera, si sta da mesi ristrutturando piazza S. Silvestro, nota come sede centrale delle poste romane e come fermata di svariate linee di autobus. I capilinea sono stati soppressi, la piazza è stata rivoltata, i progetti si sono susseguiti e sono mutati dopo le pernacchie dei romani, ampiamente riprese dalla stampa della capitale. Perché attuare un simile rifacimento? Non è una spesa utile o necessaria o, ancor meno, indispensabile. È meramente voluttuaria. Come essa, tante altre spese di enti locali sono superflue, giovando essenzialmente alle ditte e ai professionisti incaricati; ma per effettuarle sindaci e consiglieri e assessori piangono di continuo, mendicando fondi che non ci sono più e, per locupletarli, pensano bene di azzannare i contribuenti.


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