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Utility, più poteri all'Antitrust

Affidamenti in house ridotti al lumicino. L’attribuzione di utility a società a capitale interamente pubblico che abbiano i requisiti previsti dall’Ue sarà possibile solo se il valore degli affidamenti non superi i 200 mila euro annui. Quelli di importo superiore dovranno cessare al 31 maggio 2012. Mentre sarà necessario il parere preventivo dell’Antitrust per attribuire diritti di esclusiva e per affidare simultaneamente con gara una pluralità di servizi locali. Sono queste, assieme a una procedura più elastica per le dismissioni delle partecipazioni detenute dai comuni, le novità in materia di utility contenute nella prima bozza di decreto sulle liberalizzazioni messa a punto dal governo.
Se il drastico abbassamento della soglia per l’in house è destinato a circoscrivere drasticamente l’ambito degli affidamenti, la vera novità è rappresentata dall’obbligo per i comuni di acquisire il parere dell’Antitrust sulle delibere con cui decidono di mantenere i regimi di esclusiva sottraendo uno o più settori alla liberalizzazione. La manovra di Ferragosto (dl 138/2011), nell’art. 4 che ha riscritto la disciplina dei servizi pubblici locali dopo i referendum di giugno, non prevedeva tale obbligo e stabiliva solo che la delibera (di cui doveva essere data adeguata pubblicità) dovesse essere inviata all’Antitrust per l’opportuna relazione al parlamento. Ora invece il pacchetto liberalizzazioni del governo Monti condiziona l’adozione della delibera al parere dell’Autorità garante della concorrenza che dovrà pronunciarsi entro 30 giorni sulla base dell’istruttoria svolta dall’ente locale. I comuni dovranno motivare le ragioni che li hanno indotti ad attribuire diritti di esclusiva o ad affidare con gare una pluralità di servizi.
Il drastico abbassamento della soglia per l’in house accoglie invece i rilievi a suo tempo espressi dai tecnici di Montecitorio sul dl 138 (si veda ItaliaOggi del 10/9/2011). Il servizio bilancio della camera aveva giudicato troppo elevato il tetto dei 900 mila euro, in quanto avrebbe determinato facilmente «comportamenti elusivi da parte delle amministrazioni che non intendono procedere agli affidamenti tramite gara». Le critiche dei Fini-boys erano parse proprio dirette al governo Berlusconi che nel maxiemendamento aveva prima tentato di abbassare l’asticella a 500 mila euro per poi rinunciarvi del tutto.
Ora il governo Monti va oltre, riducendo la soglia di ammissibilità dell’in house addirittura a 200 mila euro complessivi annui, ma prorogando dal 31 marzo al 31 maggio 2012 la data a decorrere dalla quale cesseranno «senza necessità di apposita deliberazione» gli affidamenti di valore superiore. Due mesi in più di tempo a fronte di un drastico ridimensionamento dei contratti in essere.
Alla stretta sugli affidamenti diretti fa da contraltare un ammorbidimento della procedura di privatizzazione. Ferma restando la road map di dismissioni disciplinata dal dl 78/2010, i comuni per promuovere l’ampliamento dei mercati e ripianare i propri debiti, potranno valutare se cedere le partecipazioni societarie in loro possesso. Se lo faranno dovranno assicurare che le dismissioni avvengano tramite gara garantendo «parità di condizioni e la più ampia trasparenza e conoscibilità». L’esito delle procedure dovrà essere comunicato entro il 30 settembre 2012 alla neonata unità di missione per la tutela dei consumatori e la promozione della concorrenza nelle regioni e negli locali che sarà istituita presso palazzo Chigi.


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