Impugnazione limitata

Fonte: Italia Oggi

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Il contribuente può impugnare il diniego di autotutela solo per far valere l’illegittimità del rifiuto opposto dall’amministrazione e non per contestare la legittimità della pretesa tributaria, relativamente all’intervenuta decadenza dal potere di accertamento. Lo ha chiarito la Corte di cassazione, con l’ordinanza 25135 del 10 ottobre 2018. Per i giudici di legittimità, i motivi addotti a sostegno della richiesta di annullamento del diniego espresso di autotutela del fisco «erano afferenti alla sola contestazione della fondatezza della pretesa tributaria in ragione dell’eccepita decadenza», anziché diretti a far valere l’illegittimità del rifiuto dell’amministrazione. Sulla questione si è già espressa la Corte costituzionale (sentenza 181/2017), la quale ha stabilito che non sussiste alcun obbligo dell’amministrazione pubblica di rispondere alle istanze di autotutela presentate dai contribuenti. Dunque, non può essere impugnato innanzi al giudice tributario il diniego di autotutela dopo il silenzio-rifiuto. E questo non determina un vuoto di tutela per coloro che sono interessati a ottenere un provvedimento ad hoc in seguito alle domande rivolte al fisco. Secondo la Consulta, la ratio della definitività dei provvedimenti amministrativi e della loro inoppugnabilità risiede nell’esigenza dell’ordinamento di dare certezza ai rapporti giuridici. Imporre all’amministrazione di pronunciarsi sulle istanze di autotutela e ammettere l’azione giudiziale contro il silenzio, significherebbe aprire la porta «alla possibile messa in discussione dell’obbligo tributario consolidato a seguito dell’atto impositivo definitivo. L’autotutela finirebbe per offrire una generalizzata «seconda possibilità» di tutela, dopo la scadenza dei termini per il ricorso contro lo stesso atto impositivo». Per il giudice delle leggi, invece, è con la disciplina dell’annullamento d’ufficio che il legislatore ha operato un bilanciamento tra l’interesse pubblico alla corretta esazione dei tributi e l’interesse alla stabilità dei rapporti giuridici. Pertanto, è escluso che vi sia una carenza di tutela. Contro il provvedimento amministrativo, infatti, il destinatario può far valere i suoi diritti e interessi legittimi innanzi al giudice competente a decidere.

Rassegna stampa in collaborazione con Mimesi s.r.l.

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