Accollo dei debiti con i paletti

Italiaoggi
Luca Nobilini 14 October 2024
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di BENITO FUOCO (da Italiaoggi)

L’orientamento dei giudici di legittimità: principio valido anche prima del dl n. 124/2019. Esclusa la possibilità di compensazioni tra soggetti diversi

In ambito tributario la compensazione dei crediti del modello F24 deve avvenire tra i medesimi soggetti. Principio valido anche prima della legge n. 157/2019 (conversione del dl n. 124/2019/), che esclude la possibilità di compensare i debiti tributari altrui con i crediti dell’accollante. Lo ha stabilito la Cassazione civile tributaria nell’ordinanza n. 23934/2024, depositata in cancelleria il 5 settembre scorso. Il caso. La vicenda in esame tratta di un ricorso introduttivo proposto da una società a responsabilità limitata contro una cartella di pagamento che liquidava le imposte in base al mancato riconoscimento della compensazione tramite accollo del debito relativo all’anno 2016.

La Ctp di Napoli aveva rigettato il ricorso della contribuente, con una decisione che veniva confermata in appello dalla Ctr della Campania; i due gradi di merito avevano ritenuto che la compensazione fosse ammissibile solo in caso di identità soggettiva tra debitore e creditore (art.17 dlgs 241/1997); e che la compensazione con accollo richieda espressamente, per definizione, che la stessa avvenga tra i “medesimi soggetti”. Contro questa decisione, la società contribuente ha proposto ricorso per Cassazione. L’art. 8, comma 2, della legge n. 212/2000 (Statuto del contribuente) afferma che “è ammesso l’accollo del debito d’imposta altrui senza liberazione del contribuente originario”. Sulla base di questa disposizione, può accadere così che alcune società propongano a imprese e ditte individuali di accollarsi i loro debiti con il Fisco, pagando con propri crediti le imposte e i contributi previdenziali dovuti da questi ultimi chiedendo la corresponsione soltanto di una parte del valore nominale del debito compensato. In buona sostanza, le accollanti ricevono un importo percentualmente inferiore al debito trasferito e, attraverso il meccanismo di accollo tributario proposto, il debito tributario viene pagato da una terza società, definita accollante, mediante propri crediti fiscali. Non appena l’accollato vede, sul proprio cassetto fiscale, l’estinzione del debito, corrisponde all’accollante la percentuale concordata del valore nominale del debito compensato. Il contratto di accollo viene debitamente registrato presso l’Agenzia delle entrate e la compensazione, se del caso, avviene previa apposizione del visto di conformità in dichiarazione. Ciò viene giustificato sulla base del fatto che il credito d’imposta in capo all’accollante è di difficile utilizzo, essendo, di solito, d’ingente entità e relativo, talvolta, a vecchie agevolazioni. Tuttavia, sebbene per effetto dell’art. 8 della L. 212/2000 l’accollo tributario sia comunque ammesso, l’Agenzia delle entrate contesta l’operazione, ritenendola elusiva.

L’Agenzia delle entrate, infatti, con la risoluzione n. 140/E del 15 novembre 2017, ha escluso la possibilità di compensarei debiti altrui oggetto di accollo chiarendo che, qualora l’accollante di altrui debito Iva intenda porre in compensazione il detto debito con un proprio, entra in gioco la disciplina normativa tributaria di riferimento (art. 17 del dlgs 241/97) che prevede la compensazione solo tra diverse poste dei medesimi soggetti, così evidentemente escludendo la possibilità di portare in compensazione debiti altrui oggetto di accollo. Infatti, la compensazione, fatte salve specifiche limitate eccezioni, per l’ufficio “trova applicazione solo per i debiti (e crediti) in essere tra i medesimi soggetti e non tra soggetti diversi” (Cassazione, n. 15123/2006). Tuttavia, sulla base che la normativa sul divieto di compensazione del debito accollato è avvenuta nel 2019, essa non può trovare applicazione retroattiva. Il Collegio supremo ha confermato la sentenza dei giudici regionali campani e rigettato il ricorso della contribuente. “In materia tributaria, la compensazione è ammessa, in deroga alle comuni disposizioni civilistiche, soltanto nei casi espressamente previsti, non potendo derogarsi al principio secondo cui ogni operazione di versamento, riscossione e rimborso e ogni deduzione sono regolate da specifiche e inderogabili norme di legge. Tale principio non può considerarsi superato per effetto dell’art. 8, comma primo, della legge 27 luglio 2000, n. 212, il quale, nel prevedere in via generale l’estinzione dell’obbligazione tributaria per compensazione, ha lasciato ferme, in via transitoria, le disposizioni vigenti, demandando ad appositi regolamenti l’estensione di tale istituto ai tributi per i quali non era contemplato, a decorrere dall’anno di imposta 2002”.

La Cassazione, quindi, rigettando il ricorso, ha stabilito che prima della modifica apportata dalla legge n. 157/2019 nessuna norma abilitava alla compensazione in caso di accollo, neppure l’articolo 8, comma primo, della legge n.212/2000 (in difetto della normazione secondaria di attuazione). La Cassazione ha aggiunto che, come stabilito recentemente con l’ordinanza n. 9353/2024, “l’accollo negoziale del debito tributario con il quale una parte si obbliga a tenere indenne l’altra da ogni pretesa fiscale ha natura di accollo interno, rilevante esclusivamente tra i privati stipulanti e non verso l’Amministrazione finanziaria, la quale deve esercitare i propri poteri di accertamento ed esazione esclusivamente nei confronti di chi è tenuto per legge a soddisfare il credito fiscale, non avendo l’accordo effetto sull’individuazione del soggetto passivo di imposta, sul rapporto fra contribuente e p.a. o sul potere impositivo di quest’ultima”.

Con riguardo alla normativa previgente alle modifiche citate, le Sezioni Unite della Cassazione hanno affermato che, laddove le parti abbiano assunto volontariamente l’impegno di pagare le imposte dovute da un terzo, in tal modo esse non hanno assunto la posizione di contribuente o di soggetto passivo del rapporto tributario, ma la qualità di obbligato (o coobbligato) in forza di titolo negoziale, l’amministrazione non può esercitare nei loro confronti i propri poteri di accertamento e di esazione, che possono essere esercitati solo nei confronti di chi sia tenuto per legge a soddisfare il credito fiscale, non potendo quindi emettere atti impositivi, ma dovendo, invece, agire in via ordinaria per l’accertamento e l’adempimento dell’obbligo contrattuale (Cassazione, Sezioni unite n. 28162/2008). Con un successivo intervento le stesse Sezioni unite (Cassazione, Sezioni unite n. 6882/2019) hanno riproposto con fermezza la concezione soggettiva della capacità contributiva, individuando un nesso inderogabile tra il concorso alle spese pubbliche e la corrispondente “riduzione del patrimonio del titolare della capacità contributiva”, affermando che “il sacrificio economico derivante dal pagamento del tributo,e cioè la riduzione patrimoniale conseguente all’adempimento, deve … essere sopportato effettivamente e definitivamente dal soggetto alla cui capacita contributiva si riferisce l’obbligazione, e non già da altri”.

Riassumendo, il collegio ha enunciato il seguente principio di diritto: “In caso di accollo negoziale del debito di imposta, anche prima dell’introduzione dell’espressa previsione di cui all’art. 1, comma 2, dl n. 124 del 2019, convertito con modifiche, dalla legge n. 157 del 2019, all’accollato era precluso l’assolvimento del debito mediante l’utilizzo in compensazione di un maggior credito dell’accollante, atteso che tale possibilità, di per sé di carattere eccezionale, non era prevista da alcuna disposizione di legge”.

Articolo integrale pubblicato su Il Sole 24 Ore dell’14 ottobre 2024 (In collaborazione con Mimesi s.r.l)

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