Un tentativo si farà. Spinto dal presidente del Consiglio, ma anche dalle parole del presidente della Repubblica, preoccupato da eventuali «rotture» nella maggioranza, il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, si è convinto. E ha chiesto ai tecnici del suo ministero un nuovo sforzo per evitare, trovando le opportune coperture di bilancio, l’aumento dell’Iva che scatterebbe dal prossimo primo ottobre. Un tentativo in extremis, un nuovo rinvio di tre mesi, fino alla fine dell’anno, che dovrebbe materializzarsi con un decreto da varare venerdì prossimo 27 settembre.
Anche se di fatto andrà a ridurre i margini di intervento sulla seconda rata Imu, dopo che anche il segretario del Pd ha sposato la richiesta di rinviare l’aumento dell’Iva, la volontà politica della maggioranza è divenuta molto chiara. E per una volta, forse la prima da quando la strana coalizione sostiene il governo, unanime. Impossibile non tenerne conto. Tanto più che un rinnovato clima di dialogo tra il Pd ed il Pdl potrebbe agevolare la discussione e la messa a punto della legge di Stabilità, cioè la legge con i nuovi interventi sull’economia del prossimo anno, dal taglio del cuneo fiscale, alla riforma dell’Imu, e forse anche dell’Iva, da varare entro metà ottobre.
Dal ministero dell’Economia arriva dunque un’apertura, anche se lo stesso Saccomanni, accordandola, ha chiesto precise garanzie. A cominciare dall’impegno a mantenere il saldo di bilancio sotto il 3% quest’anno, costi quel che costi. Per il governo sarà già difficile spiegare la composizione della manovra fiscale, visto che la Ue ci chiede di aumentare le tasse sui consumi e gli immobili e noi le abbiamo invece ridotte o siamo restii a farle crescere. In un contesto simile ogni minimo slittamento numerico dal tetto del 3% di deficit sarebbe sanzionato immediatamente. L’Italia scivolerebbe nuovamente nella procedura per il deficit eccessivo, e dovrebbe dire addio ai vari bonus attesi dal risanamento, dalla maggior flessibilità di bilancio (12 miliardi in più da spendere tra 2014 e 2015, se ci venisse concesso di scomputare dalla spesa pubblica i fondi destinati al cofinanziamento dei progetti Ue), alla minor spesa per gli interessi sul debito pubblico (una decina di miliardi di euro l’anno con il differenziale a cento punti base sui titoli tedeschi).
Senza contare che un eventuale scivolamento oltre la soglia del 3% quest’anno, renderebbe assai più complicata anche la manovra del 2014. L’anno prossimo, per la prima volta da anni a questa parte, non è prevista una manovra correttiva di bilancio. Anzi. Se i conti pubblici resteranno sotto controllo in questi ultimi mesi dell’anno, nel 2014 potremo permetterci di lasciar aumentare il deficit di qualche decimale (dal 2,3 tendenziale al 2,5% programmato) per finanziare le missioni di pace e la cassa integrazione in deroga, senza con questo incorrere nelle sanzioni europee. Inutile dire che ciò sarebbe impossibile, ricordano al Tesoro, sforando il tetto quest’anno.
Il paletto del 3%, dunque, resta inamovibile. E si riduce, almeno sulla carta, il margine di intervento sull’Imu di quest’anno. Dopo la cancellazione della prima rata di giugno l’intenzione del governo era quella di eliminare o alleggerire anche la seconda rata di dicembre, dalla quale sono attesi 2,4 miliardi. Ma con il deficit già oltre il 3%, un miliardo e seicento milioni da trovare per riportarlo in linea, un miliardo per l’Iva da qui a fine anno e i quattrocento milioni per il rifinanziamento delle missioni di pace, il margine per intervenire sull’Imu è davvero ridotto all’osso. Tanto che si torna a parlare di sgravi «selettivi», solo per alcune categorie di proprietari.
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