Le norme prevedono che le strutture che accolgono scuole possano essere classificate come non commerciali (e quindi essere esenti da Imu) se offrono il servizio gratis, ma anche se garantiscono «un corrispettivo simbolico», che in questo caso non può essere superiore alla metà della media dei prezzi dei listini dei vicini.
La reazione del mondo cattolico è stata immediata e pesante.
“Non può essere il criterio della gratuità del servizio quello che porta a stabilire se una scuola cattolica debba essere o meno sottoposta al pagamento dell’Imu” ha affermato ai microfoni della Radio Vaticana il presidente dell’Associazione Gestori Istituti Dipendenti dall’Autorità Ecclesiastica (Agidae), padre Francesco Ciccimarra.
“Nessuna scuola – spiega – è gratuita, i docenti chi li paga? Con quali soldi?”. Il criterio dovrebbe essere la produzione o meno di utili. “Tutte le scuole cattoliche – sottolinea padre Ciccimarra – sono in fallimento, le chiuderemo in un anno, licenzieremo 200 mila persone, così tutti quanti saranno contenti”.
Secondo il presidente dell’Agidae, anche se “il Governo ha avocato a sé questo problema”, ciò non è sufficiente a tranquillizzare la situazione. “Una cosa così – dice – ci distrugge tutti. Io giro l’Italia per fare contratti di solidarietà, con riduzioni dello stipendio del 25 per cento. Questa sarà la fine delle opere cattoliche in Italia”.
Sarebbe interessante capire qual è il maggior gettito che lo Stato si attende, per poterlo confrontare con il maggior onere che lo Stato stesso potrebbe dover sopportare per organizzare il servizio agli studenti delle scuole private che dovessero chiudere (stimabile in circa 7 mila euro a studente).
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