Allo Stato l’Imu sui fabbricati delle imprese

Aliquota al 7,6 per mille. Ma il comune può aumentarla e incassare la differenza

Italia Oggi
4 January 2013
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Riservato allo stato il gettito Imu dei fabbricati delle imprese. Da quest’anno, infatti, l’Imu torna a essere a tutti gli effetti un’imposta comunale. Allo stato va solo la quota del gettito derivante dagli immobili a uso produttivo classificati nel gruppo catastale D, calcolato con l’aliquota standard del 7,6 per mille.

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Lo prevede l’articolo 1, comma 380, della legge di stabilità (228/2012).

Dunque, cade la riserva della quota statale del 50% sull’Imu, ma viene imposta la riserva di una quota del tributo dovuto per i fabbricati di categoria D ad aliquota standard (7,6 per mille). Tuttavia, per questi immobili ai comuni viene lasciata la facoltà di aumentare l’aliquota base di 3 punti percentuali e di incassare le maggiori somme. Si tratta dei fabbricati destinati a attività industriali o commerciali. In particolare, opifici, alberghi, pensioni e residences, istituti di credito, cambio e assicurazione, teatri, cinematografi e via dicendo.

Per i fabbricati posseduti delle imprese classificabili nella categoria D l’Imu si paga sul valore contabile fino a quando non sono accatastati. Fino al momento in cui viene attribuita la rendita catastale la base imponibile è costituita dai costi di acquisizione e incrementativi contabilizzati, ai quali vanno applicati dei coefficienti stabiliti annualmente con decreto del ministro delle finanze. Per esempio, per l’anno 2012 il coefficiente di aggiornamento è stato fissato nella misura di 1,03 con decreto ministeriale del 5 aprile 2012.

La disciplina di questi immobili, a destinazione speciale, è contenuta nell’articolo 5, comma 3, del decreto legislativo 504/1992. In base a questa norma, fino all’anno in cui sono iscritti in catasto con attribuzione di rendita, il valore è determinato, alla data di inizio di ciascun anno solare ovvero, se successiva, alla data di acquisizione, secondo il criterio contabile. Quindi, dalla data di accatastamento il valore del fabbricato deve essere determinato non più con riguardo ai costi contabilizzati bensì in base al valore risultante dalla rendita. Il valore dichiarato dal contribuente, sulla base delle scritture contabili, non dovrebbe essere peraltro un valore presunto, da cui possa scaturire la compensazione con il tributo che risulti dovuto, maggiore o minore, a seguito dell’attribuzione della rendita catastale. Tra l’altro il Ministero delle finanze (risoluzione 35/1999) ha sostenuto che il passaggio dal valore contabile a quello catastale non comporta il recupero dell’imposta da parte del comune per gli anni pregressi, né dà diritto al contribuente di richiedere i rimborsi d’imposta.

Tuttavia, non è stata univoca la posizione della giurisprudenza, sia di legittimità che di merito, sugli effetti che produce la rendita catastale. E cioè se una volta attribuita ai fabbricati di categoria D ha carattere costitutivo o dichiarativo, e quindi retroattivo. Con le ultime pronunce la Cassazione ha però affermato il principio che il provvedimento di attribuzione della rendita catastale ha natura dichiarativa e non costitutiva, con efficacia retroattiva e applicazione anche ai periodi precedenti, fino all’epoca della presentazione dell’istanza di accatastamento. E’ stato infatti riconosciuto il diritto a richiedere il rimborso dell’imposta versata sulla base delle scritture contabili, sin dal momento in cui i contribuenti avessero fatto l’istanza di accatastamento. Infine, sono intervenute sulla questione anche le sezioni unite della Cassazione (sentenza 3160/2011), secondo cui dalla data della richiesta di accatastamento da parte del proprietario la base imponibile dell’immobile deve essere determinata attraverso la capitalizzazione della rendita che sarà successivamente attribuita e se questa comporta un esborso del tributo inferiore a quello calcolato sul valore contabile, sorge per il proprietario-contribuente il diritto a ottenere il rimborso di quanto versato in eccesso entro il termine di decadenza quinquennale fissato dalla legge.

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