Tra le “problematiche” il vice ministro ha indicato “quella dell’individuazione del soggetto attivo del tributo e della determinazione della base imponibile tenendo conto dei valori contabili“. In sostanza, ha concluso il viceministro, “una soluzione andrebbe ricercata per via normativa”, e l’amministrazione finanziaria sta approfondendo il tema per proporne una al governo. Contattato dal fattoquotidiano.it per avere maggiori delucidazioni, Morando non ha rilasciato dichiarazioni. Appare comunque chiaro che non è così automatica l’applicazione dell’Imu/Ici ai petrolieri: serve un percorso legislativo, durante il quale le carte potrebbero essere mischiate. Soprattutto per quel che riguarda il “quantum” da versare da ora in poi.
Il vice ministro ha infatti ricordato che la legge di Stabilità 2016 ha escluso gli “imbullonati” dalla stima catastale, e che quindi questo inciderà sensibilmente sul calcolo dell’imposta, visto che macchinari, congegni, attrezzature e altri impianti, funzionali allo specifico processo produttivo, costituiscono parte rilevante delle piattaforme petrolifere. Come funziona lo spiega bene l’avvocato Ferdinando D’Amario, legale del Comune di Pineto: “Dal 2016 bisogna calcolare la quota da versare in base ai costi contabili detraendo dal conteggio i beni mobili imbullonati”, dice l’avvocato interpellato dal fattoquotidiano.it. Ovviamente, continua, “non può essere considerata imbullonata tutta la struttura ma solo i beni mobili”.
Ed è proprio su questo punto che Eni si è appellata appena uscita la notizia della sentenza: secondo il Cane a sei zampe la norma sugli imbullonati “azzera dal 2016 gli effetti della recente pronuncia della Cassazione sulle piattaforme”. Dunque, per la società, non si tratta solo di fare un nuovo calcolo ma di azzerare totalmente per il futuro gli effetti della sentenza.
Per ora, l’unica cosa certa è che la sentenza rappresenta un precedente a cui si stanno richiamando altre amministrazioni italiane già in coda per simili ricorsi. L’avvocato D’Amario dice che sono una decina i Comuni che hanno depositato i propri ricorsi in Cassazione. Tra questi Termoli, Porto Sant’Elpidio, Cupra Marittima, Gela. E la fila si potrebbe presto allungare viste le cifre in ballo. In totale, si legge sul portale del M5S, “stiamo parlando di ben 100 piattaforme insediate davanti alle nostre coste, martoriate da estrazioni e ricerca e a rischio inquinamento. Sono 100 piattaforme che devono pagare in tutto almeno 2 miliardi di euro”. Un bel tesoretto che può far gola e portare a qualche ripensamento in vista del referendum del 17 aprile contro le trivelle davanti alle coste italiane.
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